Sulla Gazzetta di Parma, in data 29 gennaio, è comparso un articolo che riporta il caso di una lite in un bar. Fin dall’occhiello viene suggerito che la causa di questa animata discussione, sarebbe una ragazza. Quest’ultima sembrerebbe essere diventata l’oggetto della disputa in seguito ad un’osservazione sul suo aspetto, fatta da un cliente del locale in presenza del compagno di lei. Sottolineiamo la parola oggetto siccome non ci si chiede cosa abbia pensato o come abbia vissuto la situazione, rendendola oggetto nella discussione.
Questo articolo dà adito, quindi, a diverse riflessioni: prima di tutto risulta che qualsiasi tipo di commento possa essere considerato lecito, dato che lei viene descritta come una ragazza “piacente”, inoltre viene suggerito che sarebbe stato meglio evitare il commento solo perché avrebbe potuto essere percepita come un’offesa da parte del fidanzato, facendola apparire solo come un semplice trofeo tra “due contendenti”.
Le donne continuano a non sentirsi sicure per strada, a subire molestie al lavoro, nei locali, nelle scuole e ancora parliamo di liti tra uomini per conquistare una ragazza o dell’alcool come giustificazione. Fino a quando il nostro aspetto giustificherà i commenti inappropriati di uno sconosciuto e non verremo considerate come membri della società, degni di rispetto indipendentemente dal nostro atteggiamento, modo di vestire e se siamo o meno in compagnia di un uomo. Quando vedremo un articolo che spiega la nostra sensazione di pericolo quando sentiamo i commenti sui nostri corpi per strada e si smetterà di spostare su di noi la responsabilità?
Non si sta cercando di demonizzare i complimenti verso una donna, bensì di spostare il focus di questi discorsi sul contenuto di tali commenti e su come vengano vissuti dalle dirette interessate. Non vogliamo più che le donne si sentano rispondere, come scusa, che le intenzioni erano buone ed erano solo apprezzamenti; è necessario, invece, capire lo sbaglio ed iniziare a prendere in considerazione come l’abbiamo vissuto noi, ognuna con una diversa sensibilità. Con la banalizzazione e la cancellazione del nostro punto di vista si continuerà a schiacciare le donne sotto il peso di questi pregiudizi colpevolizzandole. In questo modo continuerà a restare labile il confine tra ciò che davvero può essere definito complimento e ciò che invece è molestia verbale, reiterando questo tipo di narrazioni continuerà a non essere compresa la portata delle proprie azioni sulle altre persone.
Invitiamo la stampa a una riflessione, partendo dalle storie di vissuto quotidiano delle donne e prestando attenzione a questo diverso punto di vista.