Il Centro antiviolenza pubblica i suoi dati parziali aggiornati, raccolti dal 1° gennaio fino al 31 ottobre 2023, in occasione del 25 Novembre, per raccontare con le parole giuste il fenomeno della violenza nel nostro territorio e denunciare una situazione che negli anni resta drammaticamente immutata.
Questi numeri ci raccontano che c’è stato un aumento delle richieste d’aiuto: quest’anno si sono rivolte a noi 293 donne che hanno subito violenza rispetto alle 250 del 2022. Tra queste donne 228 si sono rivolte a noi per la prima volta e 65 avevano cominciato il loro percorso precedentemente. Stando ai dati, la maggior parte delle donne che si rivolge ai centri antiviolenza è di origine italiana (145), quelle di origine straniera sono 77.
La complessità del fenomeno della violenza, che lo rende persistente e pervasivo, è data dal non essere riconducibile alla sola violenza fisica, subita dal 71 % delle donne che si è rivolta a noi, e che risulta la più evidente ma dalla nostra esperienza emerge sempre che il tipo di violenza più frequente è quella psicologica (94%), data da diversi atteggiamenti denigratori, sminuenti e controllanti, agiti all’interno delle relazioni intime; ma mentre la violenza fisica non è sempre presente nel racconto delle donne, quella psicologica lo è nella maggior parte dei rapporti abusanti. La violenza contro le donne, radicata nella nostra cultura, è agita anche in altre forme quali quella economica (56 %) e quella sessuale (22,4%) ed in entrambi i casi si tratta di due modalità che consentono all’uomo di mantenere il controllo ed esercitare potere sulle donne e sui loro corpi perché è sempre presente l’idea della donna come “oggetto di possesso”.
Dal racconto delle donne che si sono rivolte a noi rileviamo che i figli e le figlie che hanno subito violenza (178), diretta e/o assistita, risultano essere il 68,7%. Abbiamo ospitato nelle nostre Case Rifugio 28 donne con figli/e e 19 donne sole per un totale di 47 donne e 56 figli/e ospitati.
Nel corso del 2023 sino al 31.10.23, all’interno del Centro Antiviolenza con riferimento alle donne ospiti nelle case ed accolte, si sono svolti oltre 1200 colloqui telefonici con donne e con altri soggetti della rete oltre a 1000 colloqui personali con le sole donne (quando opportuno assieme alle mediatrici linguistico culturali); le donne hanno usufruito di informazioni legali, consulenze psicologiche, colloqui per l’orientamento lavorativo, sostegno all’autonomia, sono state accompagnate presso Forze dell’Ordine, presso avvocate/i, Servizi Sociali, Servizi Sanitari; le donne in ospitalità hanno potuto accedere alle loro abitazioni per il ritiro effetti personali (con il supporto delle FFOO). Questi numeri raccontano l’immensa mole di lavoro che i centri antiviolenza si trovano ad affrontare quotidianamente.
Il Centro Antiviolenza quest’anno vuole però puntare l’attenzione su uno degli aspetti che più limitano e concorrono a disincentivare le donne dal chiedere aiuto ossia la vittimizzazione secondaria: le donne accolte e ospitate riferiscono come nei loro percorsi di uscita dalla violenza, in occasione del loro incontro con soggetti terzi (figure professionali e/o istituzioni) in contesti in cui avrebbero dovuto sentirsi maggiormente tutelate e ascoltate si siano, al contrario, sentite colpevolizzate; è stata attribuita loro una corresponsabilità per i maltrattamenti subiti, la violenza non è stata riconosciuta e/o minimizzata finanche ostacolato, ridotto o negato del tutto l’accesso ai sistemi di tutela. Almeno una donna su dieci ci ha raccontato di aver subito questa ulteriore forma di violenza, in particolare, da parte di familiari, Forze dell’Ordine, amici o amiche e Servizi sociali, e ciò in un momento della loro storia di uscita dalla violenza particolarmente delicato.
La vittimizzazione secondaria la ritroviamo anche nei reportage realizzati dai media, nei commenti scritti sui canali social, nelle risposte delle istituzioni ovvero la mancanza di capacità di accogliere le testimonianze delle donne senza sminuirle o giudicarle. Nonostante l’elevato numero di donne uccise da uomini con i quali avevano avuto o avevano relazioni intime, 106 dall’inizio dell’anno, ancora si cercano e si esplicitano possibili giustificazioni alla violenza fino a colpevolizzare queste ultime.
Viviamo in una società che giudica costantemente le donne: sia quelle che denunciano sia quelle che non riescono a interrompere questi legami. Un biasimo che troppo spesso si insinua anche nei discorsi istituzionali.
Al Centro Antiviolenza cerchiamo di dare una risposta alle richieste di sostegno delle donne e cerchiamo di assicurare loro un luogo sicuro in cui si accoglie il loro vissuto cercando di supportarle in un percorso di libertà. I dati che pubblichiamo ogni anno hanno lo scopo di far riflettere sulla pervasività della violenza ma anche quello di ribadire che dalla violenza si può uscire grazie a una rete di relazioni di supporto di soggetti specificamente formati.
I numeri servono anche a dare la dimostrazione che il fenomeno della violenza sulle donne non ha bisogno di una risposta securitaria, punitiva ed emergenziale che si presta a mera strumentalizzazione politica per placare il tumulto che generano le notizie dei femminicidi.
Solo con l’educazione alle relazioni e all’affettività nelle scuole, in famiglia, a tutti i livelli, possiamo evitare che le donne subiscano ulteriori giudizi e che le loro denunce non vengano ascoltate.